le botte prese e quelle date

Mi sono sempre chiesto e mi hanno risposto loro, le lucciole che brillano si vedono solo
se metti sullo sfondo un po’ di nero. Mi sono sempre smazzato i cazzi miei ma loro, ritornano ogni volta e si ricomincia, ricominciamo, amo la vita, una miniera d’oro ma chiedo, per ogni pepita che cerco e che trovo, quanta fatica quanto dolo, dolore, re di questo regno con lo scettro e il mantello, mi basta non sapere quanto mi resta quanto mi costa ogni giorno, ogni tempesta, quanto costa l’andata, quanto costa il ritorno., no non resto, ma manco me ne vado, resto nel mezzo e provo, a respirare profondo, fondo l’ossigeno con il mio corpo nudo mezzo vuoto e vedo chiaro, un po’ è resa l’altro po’ è invece coraggio. Nessuna lista di cose da fare, non c’è dopo, il dopo è già qui, tutte le cose belle che mi porto nel cuore nascono dalle ceneri, dal cordooglio, e l’erba voglio che cresce come gramigna mentre io lavoro duro, m’impegno, lo sò soltanto io quanto, lo so soltanto io le volte che purtroppo ho smartito, pianto, e poi, con gli occhi gonfi mi sono riarzato, ripartito sempre più stranito.
Non mi interessa essere il meglio, credimi se io a volte non sono all’altezza, non sono bono, è perché ieri è stato tosto e ancora oggi non capisco, maledico me stesso, stresso, me compatisco, faccio la vittima, ma che credi, manco io alla fine della fiera ce credo davvero. Che la gente se pensa che le cosi peggiori che capitano loro sono ingiustizie che nun se meritavano, io te chiedo, invece le cose migliori? hai fatto qualcosa davvero per meritarle o sono anch’esse un dono? Due sono le cose me diceva coso, o le cose capitano per caso, oppure nel bene e nel male sempre tu sei il capo, una profezia, una costruzione, un edificio eretto di notte, forse al buio come quando senti un vociare salire dal piano di sotto.
Soltanto te e me, soltanto questo, il risultato dell’amore poesse una piantagione di verità ovvie, ovvietà che non vuoi vedere, una questione di spazio tra te ed i tuoi desideri, quanto sei disposto a cedere a quelli di qualcun altro, quanto sei disposto a perdere, a ricordarti da dove vieni, un compromesso malmesso, dove l’ombra che te para è sottile come quella che fa un cipresso, dove l’odio, non è il suo esatto contrario, è qualcosa di più, qualche volta qualcosa meno.
Ci sono delle cose che custodisco lontano così che tu devi esse un botto bravo, leve che se tocchi c’è il rischio che rompi facendomi ancora più strano, eppoi troppo poco tempo davanti per rimette in piedi i cocci ma tu storci il naso e dici non è l’accordo che conta ma quanti sono i ricordi, che non ci sono premesse buone, non ci sono promesse vere, di certezze intere non esistono, è tutto poco chiaro, è tutto un rischio, senti il fischio, non resisto, la vita è mia, me la vivo a modo mio, anche se, quando ho perso in partenza e quando me perdo all’arrivo, perso, come un attore, confuso fuso nel proprio ruolo.
E’ tutta na caciara de sentimenti, il tempo che corre, i riflessi sempre troppo lenti, fendi l’esistenza se te pia bene, bene! sennò pazienza, sennò azzarda, bluffa, bara se ce sei bono, oppure se te regge davvero guardati allo specchio e regalati il perdono, dattelo da solo perché le assoluzioni sono come le pensioni, al minimo storico, un cancro cronico, i vecchi attaccati alla vita mentre i giovani se la bruciano tutta in un incendio solo, e non mi sembra poco, m’hanno insultato, menato, dato del poco di buono, ho preso certe pezze che manco io me ricordo se ne ho prese de più al netto, o più al lordo, quindi forno, ascoltami bene io non te sciorino sentenze, non impartisco nessuna lezione, però, c’ho una cifra de cifre e sufficiente stile pe ditte che manco delle tue me fido, t’ascolto con il cuore si, ma con il fiato corto, io per il mondo ancora ce giro, la sera ancora esco, sento milioni di cazzate, vedo e capisco, in mezzo a tutta stà carovana riconosco solo compagni di viaggio e nessun maestro.

Laura

Laura stava percorrendo quella strada come ogni mattina, alle 6.45, più o meno, e con faccia stanca. In quella stagione era difficile incontrare lo sguardo dei passanti. Per diffidenza, perché ognuno era concentrato a mantenere il passo, con lo sguardo basso, e perché i cappotti ed i cappucci riparavano dal freddo.
Nel mentre, sulla destra sorgeva un alba timida e una scia di luce rossastra carezzava i binari rifflettondosi, lei pensava sempre la stessa cosa. Come era potuta finire così. Come era potuta finire così in basso. Cosa la spingeva ad odiarsi a tal punto da non meritarsi un briciolo di soddisfazione, di serenità, di piacere.
E Le scarpe? Ne possedeva almeno una dozzina di paia. Le guardò e si convinse che quelle che indossava quella mattina, erano le sua preferite. Benchè le più vecchie e inadeguate ad un luogo di lavoro.
Scartò a sinistra, improvvisamente, cercando di schivare l’ennisimo dubbio. Che senso poteva avere questo modo di esistere, il suo.
Amava quelle scarpe benchè inadeguate? O perché inadeguate? (altro…)

T-Max (secondo tempo)

S’erano incamminati lentamente. Fumando un afgano che si litigarono strada facendo, mimando pugni come pugili scarsi.
300 metri ed ecco il muretto della comitiva rivale. Anche se poi rivali, in quartiere che sembra un paese della Cisgiordania, suona ridicolo.
“Ndo sta er moretto?” parlò Medusa.
“Sta in garage a smontà no scuter” rispose uno dei pochi presenti.
Senza ringraziare o altro svoltarono intorno al palazzo e scendesero nei garage. Si sentiva rumore di cacciaviti e bestemmie.
Lo videro seduto mentre un paio di tipo, piuttosto grossi, stavano smontando un t-max. Ora c’è un proprietario in città che starà piangendo.
“Che cazzo volete mò voi tre?” subito aggressivo il Moro appena li vide in penombra. Li aspettava. O quanto meno ne aspettava due.
“A Morè nun fa lo stronzo e dacce subito sti sordi” disse Paoletto per nulla intimidito.
“Già ve l’ho detto che m’hanno rubato tutta la roba che c’avevo appizzata. Nun ve posso ridà ncazzo”.
“Non hai capito che nun ce ne frega ncazzo. Te hai comprato na cosa da me e me la devi pagà. Si poi l’hai regalata o te la sei pippata tutta, nun me ne frega ncazzo. Anzi nun ce ne frega ncazzo”. (altro…)

Ho litigato co’ me stesso

Io ho litigato co’ me stesso.

Io ho litigato co me stesso. Me so stufato della sua arroganza, del suo “fa come te dico io perchè sinnò sbaji”. Che poi me stesso dice dice ma mette dentro ‘na serie de cappellate che nun te dico. dice de esse responsabile e serio. de esse uno impegnato pure politicamente ma poi disattende tutti.

Se nasconne, imbroglia, tradisce, racconta bucie pe parasse er culo.

E seconno voi, chi ce rimette? Io! Sì proprio io er cojone che ancora je va dietro. Quello che ce mette la faccia, che se pija le pizze e i carci er culo. Che se accolla le responsabilità anche quando non dovrebbe, che fa er cane bastonato (anche perché so un cane bastonato) e me stesso invece sciala e se diverte pure a vedemme soffrì.

E me stesso che fa? Voi pensate che spezza na lancia in favore mio? Eh no! Sto boia infame anzi mette er carico. Sobilla e fomenta i miei assalitori. Rincara la dose sperando che me facciano il piu’ male possibile, che poi sarebbe pure male pe’ lui. A volte penso “questo o è matto o è immune al dolore”. Ma se sa, semo tutti un po’ masochisti perché me stesso nun dovrebbe esselo?. E’ un frustrato, un poraccio come me se non peggio. Ama e odia sempre le persone sbajate.

L’altra volta pensavo “mo’ m’ammazzo così me stesso finisce de rompe er cazzo.” Ma poi ho pensato che se m’ammazzo nun faccio altro che fa un favore a me stesso.

L’omo Novo!

Lavoro come un cojone in un posto che vorrei disintegrare. Mi dicono che siamo in crisi. Che dovrei pure ringrazia’ il signore. ( quale signore?) Abito in una casa che m’ha lasciato mi padre. Mi dicono che questo mi lega ad una perenne condizione parentale. Ma che comunque è un lusso, e devo ringrazia’ il signore (qui mi è più chiaro) Non sono omossessuale ne bisessuale ne transessuale..Mi dicono che questo segna una certa rigidità nel lasciarmi andare. Comunque  sei caruccio, accontentate, già che ce stai ringrazia pure  tu madre. Per le persone che amo mi impegno,  mi spacco il culo. Mi dicono” parlaimone”  comunque prima cambia vocabolario. Perché è un pò antiquato, costretto e non tiene conto. Alle persone che odio, che m’hanno ferito Trovo il più delle volte la forza per dedicargli un sorriso. Nonstante tutto, penso, non ce l’hanno con me, so’ affari loro. Vado ad una festa e tutti che se sorridono. Che ve ridete? Mi dicono fa parte di questo modo nuovo di essere, lo vende quello lì,  un tanto al kilo. Sii  contento, perché se non sorridi, sei il primo a esse escluso. Poi vado ad un’assamblea e tutti che se contraddicono. Dici su chè? Dopo due ore se je lo chiedi  non lo sanno manco loro. Mi dicono devi esse contento, è il prezzo della crescita, il succo del conflitto. Bene, allora esprimiamo sto conflitto, parliamo veramente onestamente Senza fa finta de esse tutti arancioni cresciuti in qualche pezzo d’oriente

Ma.

Se litigo co la mia compagna. Lei mi dice che so aggressivo. Se nun me incazzo. Che so passivo. Se parlo con calma. Quello che dico. E’ un prodotto. Se non parlo con calma. Che non amo il confronto. Se se lasciamo è perché ho sbagliato. Se me lasciano è perché non ho capito.. Che il mio approccio col sesso è noiso. Se voio scopà tutti i giorni che ha fatto cristo Va a fini che sono il  solito maschio. Se non scopaimo più invece adesso si che tiri fori il desiderio. Quando è che potrò sentimme pure io Ogni tanto strano?? Se faccio i piatti ma chèè e cosi che se fanno?? Se cucino! No qui nn dice niente nessuno. Se me vedo la Lazio. Me rompono i cojoni compagne, amiche e pure il romanista maschio. Del tipo “Il Calcio è dell’uomo antiquato ”, oppure, sei popo daaalazio.

Io vivo un corpo in crisi, in una citta in crisi, in un paese in crisi, in un mondo in crisi. Financo la televisione è in crisi. Ma se dico: ao me sento in crisi!! Guarda nel  passato. Se dico ao me sento un fallito. Te credo sei pigro. Vabbè so pigro. Vado a lavoro e dico Allora fateme lavorà de meno. macchè ! la Logica aziandale di certe pretese non  ne tiene conto. Allora  porco dio! Becchete  un richiamo. Me spiego in italiano? Statte zitto sei  ideologico. E Se te tiro un sanpietrino? sei un  violento! Se non tiro nessun sapietrino? È perché ha vinto il nichilismo. Era mejo il comunismo. E’ na questione de bullismo. E’ Un neo colonialismo. Non c’è più  romanticismo- Non se trova più un parcheggio, sulle stelle, chi ce sale più apparte il prezzo del greggio? Da ragazzino ero un gaggio. Odesso so pure peggio Alla mia tavola nun scureggio. Scureggio in giro. Daltronde m’hanno detto Il privato è politico. Io che so incolto non ho capito. Ho guardato il disagio mio e di chi me vedo intorno e me sò detto Ma che sete matti;

Dal mal e in peggio!!

Allora, oggi che è otto marzo, la festa delle donne, ve faccio na proprosta. Solo pe stavolta niente separatismo, fatece aggregà!

“Divertentismo”

T-Max (primo tempo)

Quando sentì la macchia di sangue e la testa girare gli venne da ridere. Se ne avesse avuto la forza si sarebbe messo a cantare Gabriella Ferri. Te possino da tante cortellate… Non riusciva neanche a capire come fosse possibile trovarsi in quella situazione. Disteso tra l’erbacce e l’asfalto del marciapiede. Saranno passate più o meno due ore da quando era uscito di casa. Annoiato, come spesso capita se abiti in quel buco di culo di quartiere. Neanche era periferia. Era Hinterland che è un modo come un altro per dire quartiere dormitorio costruito nel territorio extraurbano.
Aveva incontrato Paoletto e il Medusa che stavano come sempre a svoltà la giornata. Incazzati neri per una sòla presa.
“Sto bastardo, sto pezzente. Ma io lo tajo stavorta lo tajo. Pensa che so ‘nfregnone”.
“Bono Paolè bbono mò s’annamo a ripija tutto puro coll’interessi. Tanto ndo va’.” provava a calmarlo Medusa.
Le solite storie. Palle di fumo. Grammate di cocco che giravano da una mano all’altra. E’ la microeconomia delle periferie. Quella che impedisce ai pischelli di morirsi di fame e di andare a incendiare i quartieri salotto della città. In questa periferia come le altre.
Generazioni buttate. In Francia la chiamano “Racaille”, la feccia. Qua sono più morbidi. Fino ai 16 anni baby-gang. Sopra i 18 semplicemente spacciatori o criminali. Loro al momento non erano né uno né l’altro. Ancora non erano entrati nel mondo dei grandi. Ancora per pochi mesi però, poi non li avrebbero più mandati al minorile.
“Aò stai a venì con noi?” mi dissero urlando.
“Ndò” gli risposi ancora stranito dal loro nervosismo.
Io non avevo nessuna voglia di un pomeriggio di tensione. Zero.
Avrei voluto perdermi nel parchetto sotto casa. Diventare invisibile e privarmi dell’udito.
Smettere di sentire i soliti discorsi di cui mi cibavo. Le urla. Le prese in giro. O i T-Max smarmittati che mi mandavano in bestia. Avrei voluto essere un tutt’uno con quel cazzo di quartiere. Lo odiavo ma era casa mia. Quando uscivo da lì inizialmente mi sembrava di stare meglio. Di respirare meglio. Ma poi mi saliva l’ansia. Non mi ritrovavo fuori dalla mia zona. Sempre in tensione. Sempre in paranoia. Quando arrivavo in centro con i mezzi pubblici avevo la stessa faccia di uno di quegli immigrati che arrivano a Lampedusa.
Ora alcuni di quelli abitano in questo quartiere. Credo che se glielo avessero fatto vedere prima di imbarcarsi, sarebbero rimasti a casa.
Fame per fame…
“Daje dovemo annasse a ripija mille euro da quer pezzo de merda che abita laggù. Ai palazzi grigi. All’emmedue.” disse Paoletto sempre più agitato.
“Ma io che c’entro” risposi.
“Aò è na cosa tranquilla. Quello è un cojone basta urlà nattimo e se caga sotto. E si ce dai na mano poi te damo un pezzo de quer nero. Un regalo pel disturbo fratè”.
“Aò nun me fate mette in mezzo a ste storie regà, sapete che vojo sta pulito sinnò me madre se infarta”.
“Anvedilo porcodeddio quante storie. Senti fratè, voi dà na mano alli amici tua o no? Te nun devi fa ncazzo. Devi venì con noi, tanto pe fa numero. Manco devi parlà o altro. Si nun era na cosa tranquilla te pare che mettevamo in mezzo?” disse ancora Paoletto con un sorriso sarcastico, da impunito qual era.
“Sì ma annamo subbito che nun vojo fa tardi e me vojo vedemme un firme che me so scaricato oggi.” aggiunsi poco convinto.
“Daje Medù annamo va”. E si mossero.

Fine Primo Tempo

Il Botto

Dal basso non si capisce un cazzo, si sente solo rumore, s’ arza s’abbassa il volume. Del resto è molto comune fare  patti con il passato, quattro chiacchiere col futuro, con tutto il resto che rimane immune, muto e sordo ad ogni richiamo. Dal basso tutto è grosso e grasso, gigante come un palazzo, e tu? tu stai sopra, stai sotto. Del resto è affato comune prendere a pugni un vecchio solo per un dispetto, staccargli la testa con un colpo secco, non c’è che dire, è molto grave come antefatto. Dal basso, troppo stretto troppo lasco, si stringe s’allarga a piacimento, fa il pazzo, del resto è pazzo mica scherzo, giuro è pazzo, è pazzo. Dal basso senti che puzza, che olezzo, sfida la sorte, non ti preoccupare, del resto è poco comune avere fame,  vorrebbe dire, parlare, ma spesso è contraddetto, fai il gatto ffffffffffffffffff soffia eppoi vattene, no, resta ancora un attimo.  Dal basso è come un cuneo rotto, che ruota e gira come na trottola, che gira che gira e che nun se ferma. Del resto è abbastanza comune prendere un fiore e cagacce sopra, mentre tutto il resto è lamento, biasimo o  puro sgomento.

Del resto pure dall’alto mica è meglio, Tra vertigini e spaesamento, tutto un guarda là è cosi quindi che era fatto.

Del resto se stai in alto stai sicuro che tirerà vento, stai sicuro che pe fanne una sarà un tormento, il tabacco che vola, il fumo che cade, l’accendino sempre spento.

Del resto, dice, è pure vero che dall’alto controlli meglio. Controlli meglio? controlli chi? Chiedo. Controlli il nemico nel suo avvicinamento.

Del resto è vero che se stai in alto puoi colpire meglio, caricare, mirare, fuoco!  eppoi  guardare il corpo esplodere con tanto di botto.

Del resto stanne certo non ti colpirò, sono buono, era per dire, non ero serio.

No, non lo ero, puoi passare giuro. Giuro.

Bum.

Il Botto.

Stragi

Chiedeteci scusa per quest’ammasso di corpi. Chiedeteci scusa. Per tutte quelle volte che avete mentito, nascosto, deviato. Per tutte quelle volte, troppe, che avete tradito. Chiedeteci scusa, è già tardi, fra poco lo sarà definitivamente. Chiedeteci scusa perché sappiamo odiare ancora, sul fondo di un cumulo di niente sappiamo, sentiamo, vediamo, ancora. Chiedeteci scusa se v’è rimasto un cuore sepolto nel petto, se v’è rimasto un nome che vi ricorda essere umani oltre il profitto, se ancora una stilla di sangue rosso corre viva fra metastasi di piombo e inchiostro. Chiedeteci scusa anche se non basta, chiedeteci scusa semmai ci incontraste sulla strada. Siamo gli ultimi, ultimi a cui interessa, fra poco le risposte saranno senza domanda, e allora il rumore dell’amore sarà il silenzio, un vuoto continuato che camminerà al fianco di ogni figlio e figlia di questo mondo. Saprai tacere allora come hai sempre fatto? Saprai mentire ancora contro un silenzio? Saprai guardare a te stesso con le stesso, immutato, rispetto? Chiedeteci scusa per aver avuto nessun coraggio, per essere stati i più vili, per l’oltraggio che avete fatto persino a quel senso che c’è nel cattivo. Chiedeteci scusa per ogni pugno malcelato da un sorriso, un sorriso che nascondeva falsità non peccato. Chiedeteci scusa per tutte quelle colpe che avete condiviso col tempo, nello spazio, perché hanno procreato altre piccole mille colpe, e poi altre e altre, finchè tutt siamo diventati nostro malgardo una infinitesimale parte di una piccola colpa. Chiedeteci scusa per tutto questo inestricabile inganno. Chiedeteci scusa per averci imbrogliato, sussunto, preso per il culo.

Ci saranno sentenze che non verrano mai pronunciate ne mai ascoltate ne mai ripetute da un’ eco solenne di qualche volta. Ci saranno sempre anime che continueranno a vagare senza pace, alle quali non verrà concesso neppure il dono amaro della pena.

Ma siamo tornati come torna un tuono, come torna un ultimo sussulto, un ultimo rantolo raccolto nelle ultime strenue forze che abbiamo timidamente conservato. Stiamo venendo a prendervi per sbattervi ad un muro, Siamo tornati come torna inevitabile la natura, la festa è finita, e vi dico una cosa;

Avete fatto male a non finirci quando avreste potuto, ora, per un’antica legge vecchia come il cucco saranno i vostri figli che vi uccideranno.

Ascolta che terribile suono suona la musica del cincifischio.

Fuori piove e piove dentro

Fuori piove e piove dentro pensò accendendosi l’ultima sigaretta. Fuori piove e piove dentro come solo certe giornate d’autunno sanno fare. Fuori piove e piove dentro ancora incerto se incamminarsi e togliersi da sotto quel balcone che lo proteggeva parzialmente. Fuori piove e piove dentro senza un motivo apparente come fosse semplicemente inevitabile. Fuori piove e piove dentro ripensando a una vita di affanni e precarietà si sentì tremare dalla troppa umidità.  Fuori piove e piove dentro incapace di sapersi proteggere come se fosse possibile rimanere asciutti. Fuori piove e piove dentro incessantemente senza sperare neanche in una minima tregua. Fuori piove e piove dentro pensò andando incontro al destino. Fuori piove e piove dentro ogni passo non è sempre decisivo. Fuori piove e piove dentro sapendo che non poteva più tornare indietro. Fuori piove e piove dentro sperando che almeno tutta quell’acqua potesse travolgere affanni e paure. Fuori piove e piove dentro l’acqua ormai filtrava dappertutto facendolo rischiare di crollare. Fuori piove e piove dentro e tentò un passo ancora togliendosi da quel balcone che gli regalava una protezione effimera. Fuori piove e piove dentro e quel primo passo lo fece affondare in una pozzanghera profonda. Fuori piove e piove dentro pensò un’ultima volta mentre si batteva come non aveva mai fatto cercando di evitare di affogare.

Omaggio al Quadraro. (da Petrolio, P.Pasolini)

Malgrado questo finale quasi pirotecnico, la Visione non doveva finire così. C’era evidentemente in essa qualcosa di residuo che si doveva ancora esprimere, anche se, come vedremo alquanto ambiguamente.

La mia solita onestà mi costringe ad avevrtire il lettore-eludendo le regoledell’ambiguità, cui dovrei,a rigore, attenermi- che tale residuo della visione ha valore anche metalinguistico: il suo significato vale per il “Mysterion”, nel preciso momento in cui viene rappresentato, ma vale anche sul piano generale delle intenzioni dell’autore (del resto non meno ambiguamente che nel racconto) (altro…)