Anchise

Anchise. Dal Greco “storto”, “curvo” ma anche zoppo.
Storia di un Troiano, mezzo nobile, mezzo pastore, punito da Zeus per essersi vantato.
Pare, si dice, si narra, che durante una festa, ubriaco lercio, si sia appunto vantato di farsi le storie con Afrodite.
La dea infatti qualche tempo prima si era innamorata perdutamente di lui, e a daje e daje, avevano procreato niente popo di meno che Enea, futuro fondatore di Roma.
Fu così che Zeus odite le sue vanterie, durante la festa, e per questo ingelosito fracico, (Zeus era un rosicone) lo punì colpendolo con un fulmine, azzoppandolo.
… Ma il Mito dice, narra, che Anchise era il padre portato in spalle da Enea nella sua fuga da Troia in Fiamme, suo malgrado. Perchè lui avrebbe voluto morì, zoppo e storpio e oramai accannato da Afrodite, tra le fiamme appiccate dai Cavalli de Troia, e vaffanculo.
Famoso è, infatti, il detto a lui accostato; “Mò, mavete proprio rotto ercazzo!”
Come se non bastasse, si dice, narra, era pure cieco.
Mezzo paralitico.
Insomma già secoli e secoli fà, esisteva un Mito contro l’eutanasia.
Che si sappia che Enea non solo fondò Roma, ma pare esse stato anche il padre putativo dell’accanimento terapeutico.
honore ad Anchise. daje tutti.

Senza Storia

Un giogo invisibile che lo tiene legato, che non può fermare, che non lo lascia andare, sempre uguale, che gira e pesa, tira e pesa, gira e stanca, ma non lascia segni.

È così che cominciò.

La vide, se ne innamorò. Subito, senza un solo istante di pausa ne di attesa.
Dopo undici secondi il suo corpo non le apparteneva più. Apparteneva a lui, era la summa dei suoi desideri. La Dea, la Dea che stava asepttando, la Dea dell’amore.
Dopo undici minuti la vita di lei era un racconto scritto ad arte per lui, una storia senza storia, pensata e vissuta per lui, per giungere a lui, e riempirlo, lei il fiume che scende lui il mare che accoglie.
Dopo undici ore non rimaneva di lei che il profumo nell’aria. Inghiottita nel suo interno, nell’indefinito dei suoi non ricordi, da sempre slegati, sciolta lei insieme a loro nell’acido dei suoi bisogni, senza più un segno, una linea, un confine.
Il passato rareffato instabile dei reduci, La tavola sgombra, intonza, pronta per la cena di gala, non una mollica dei precedenti pasti, pronta e linda per la grande nuova abbuffata.
Dopo undici giorni la sua vita, la sua di lui, era svanita anch’essa quasi completamente.
Fusa, liqueffatta e bollente nell’aria umida e infetta.
Dopo undici mesi non sentiva più nulla. Una distesa silenziosa e arida, senza vita, il cielo bianco d’inverno, la terra arsa giaceva congelata e inerme, tutta uguale, senza orizzonte.
Il terrore era stato lì ad aspettarlo tutto questo tempo, e finalemente il figliol prodigo era tornato a casa, la sua casa, il colore bianco diffuso del vuoto, il suono in dissolvenza dell’eco.

Storia di un sasso

“Sei stato tu! Sei stato tu col tuo sasso!”
Un poliziotto sovrappeso urla e prova ad inseguire un manifestante a Piazza Alimonda.
Carlo Giuliani giace morto sul selciato.

Sono passati 10 anni da quel 20 luglio.
Quel pomeriggio mi ha sconvolto la vita.
Sono stato accusato di omicidio, sequestrato, analizzato e rinchiuso in qualche scantinato di non so quale commissariato. (altro…)

Diritto alla vigliaccheria

“Ho diritto alla vigliaccheria”. Si ripeteva continuamente da alcuni giorni.
Non dormiva, non ci riusciva e ripensava continuamente alle ultime 48 ore.
Aveva di nuovo messo a ferro e fuoco tutto: il suo equilibrio, la propria vita, i propri sogni. Non riusciva a capacitarsene ogni volta che succedeva. (altro…)

Occhio non vede

(Con questo racconto diamo il benvenuto alla terza lama del blog: lamate bal. Se e quanto imperverserà da queste parti non è dato sapere. Nel frattempo leggete e nun rompete – lamate bz)

La chiamano Sindrome di Fuchs, quelli bravi intendo, i dottori che ne sanno.
Per me è la mia malattia, la mia nuova compagna sghemba e malevola che decide quante cose posso vedere.
Sindrome come quella da immunodeficienza, Sindrome come quella cinese di quel film vecchio e scolorato con Michael Douglas e Jane Fonda in cui una centrale nucleare si spezzetta piano all’inizio e poi esplode ,negli ultimi 10 minuti.
Ecco credo che siano stati gli ultimi 10 minuti quelli fatali, quelli in cui dei e parche hanno fatto un patto per farmi fare la strada larga col botto alla fine.
(altro…)

Emma

Quando esplose la bomba provai a schermare i miei pensieri. Nei fumetti che leggevo c’era chi ci riusciva. Io ovviamente no, al massimo leggo le loro avventure nelle mie insonni ore notturne, spesso con lei accanto. E non vivo nel mondo Marvel.

Quando me ne accorsi era troppo tardi. A dire il vero avevo avuto già delle sensazioni tempo prima ma credevo fosse tutto assurdo. Pensavo che queste cose le avevo viste solo nei fumetti degli X-Men o in qualcosa di simile.
E’ vero che quando due persone sono legate, spesso si intuiscono cose nascoste. Se ami una persona magari scopri da qualche impercettibile dettaglio, che magari ti ha tradita o ti tradirà. Magari senti anche che alcune cose sono cambiate.
E invece no. Quello che è successo a me è qualcosa di completamente diverso.
E sono scappato. (altro…)

DimenticAnsie.

si era visto parlarottare con due signore, mentre loro se ne stavano in piedi penzolando pesanti buste della spesa. ma non era vero.
si era visto aggiungere tante cose e poi se l’era viste togliere tutte insieme.
lo si era visto in giro con fare distaccato per via di una questione che lo impensieriva, andarsene per via di torpignattara.
si era visto costretto, pensava, costretto da un maledetto giorno a pensare soltanto a quello, quel cazzo di giorno.
fra tanti bastardi ce ne sarà stato uno più bastardo di lui, aveva pensato e ripensato.
Prima c’è la speranza, poi la delusione, poi il dolore, poi il veleno, il rancore, l’odio.
Poi dopo l’odio, l’azione, l’errore de sbajo, la perversione, il senso di colpa, il pentimento, le scuse.
Infine la speranza, di nuovo, il bisogno d’amore che imperterrito non vuole saperne di mollare, di allentare la presa neanche per un secondo.
i cinesi silenziosi, i bangladesh agliosi, gli africani ciondolanti, adolescenti rasati in tuta, pischelle acchittate tacco e body, jeans a sigaretta, insegne che chiamano ma che non ci credono manco loro, la macchine incolonnate davanti al semaforo, quelle in doppia fila che ti fanno sbroccare ed il caldo che porta un afa profumata di castagno bagnato.
l’autobus non ci passa e la fermata dopo pochi metri è piena di occhi che aspettano concentrati quasi che vorrebbero attirarlo a loro, qualcuno presumibilmente ha fretta, è tanto che aspetta, qualcun’altro non riesce a fermare le gambe perchè sono ore che deve pisciare.
al centro della carraggeta intanto si corre un’altra corsa, un senso unico alternato in cui sfrecciano un numero imprecisato di coatti in motorino, e sò occhiatacce a volte, altre ci si riconosce.
quel chiodo fisso ch batteva con la forza delle canne che non si era riuscito a risparmiare. quel chido fisso e tutta quella gente. quanta gente e l’autobus che non riusciva ancora a liberarsi e passare.
perchè il semaforo è sempre rosso?
menomale che sto a piedi e stò per arrivare.
l’importante è partecipare, si, vabene, prima hanno fatto il traffico e poi c’hanno costruito Roma attorno, prima ciò che era una paranoia ora virava in un fastidioso malditesta sotto un cielo pesante come piovosi giorni di Giugno.
..porcoddio! ho lasciato il telefonino ar bare.

In trittment (il lavoro debilita)

“come fosse stata la notte dei lunghi silenzi…”
“l’hai visto?”
“no”
“è un bellissimo film, se ti capita vedilo”
“ok”
“ti dicevo..”
“era la prima volta che questa donna veniva per una seduta, ci presentiamo, brevi formalità, pochi convenevoli, dopodichè io come sempre le chiedo cosa l’aveva spinta a venire da me, quale fosse il motivo..”
“era bona?”
“macchè bona, macchè c’entra adesso…era una donna come tutte le altre, avrà avuto quarantacinque anni, forse meno, una persona come me e te, una persona qualsiasi, quelle che il più delle volte passa inosservata”
“era un cesso”
“enrri, no, non era un cesso, era una donna, una donna come tutte le altre..”
“..ti dicevo, comincia a raccontarmi dei problemi con il marito, per circa venti minuti, forse anche più parla senza interrompersi mai, alternando cenni salienti della loro relazioni a brevi, fugaci, ma sufficenti passaggi uitli a farmi intravedere quali fossero le emergenze emotive che questa storia le suscitava. Ascoltanola capisco che è una donna che non ha dimestichezza nel parlare di sè ma diversamente da quelli che possono essere i miei pregiudizi in questo senso, mi stupisce la sua intelligenza, la brillantezza con cui racconta alcuni passaggi mi affascinano e mi incuriosiscono, cosi chè ascoltarla diventa addirittura a tratti avvincente, se non fosse che era palese l’ansia che sentiva e che tradiva la sua logorrea”
“logochè?”
“Logorrea. E’ quando una persona ti investe con una flusso eccessivo di parole, un eccesso di verbosità, una specie di..”
“vabbè dai ho capito, sticazzi, prosegui”
” Si”
“Ad un certo momento si ferma, si interrompe fisssando un punto sul pavimento equidistante tra le due poltrone, poi, lentamente, quasi impercettibilmente sposta lo sguardo verso di me, cominciando dal basso, dai miei piedi e salendo, sù, sù, sempre più sù, sempre più sù, sempre lentamente, fino all’ultimo dei miei capelli, senza dire niente per tutto il tempo, in assoluto silenzio, senza tradire una smorfia, che sò un movimento impercettibile del viso, delle mani, niente, con uno sguardo ne vacuo ne pieno, distratto e al tempo stesso attento, sai la classica espressione che hanno le persone che mentre ti ascoltano, per un attimo sono rapite da qualcos’altro sullo sfondo, ma mai abbastanza da interropere il contatto.”
“te se voleva fà”
“macchè me se voleva fà, ascolta, il tutto sarà durato tre minuti.
“sai quanti sono tre minuti di silenzio assoluto? quanto possono pesare? senti passare ogni singolo secondo, e l’imbarazzo? per quello sguardo che per tutto il tempo ha tenuto sul mio corpo facendomi sentire inaduguato, nudo, offeso quasi, da tanto accanimento”
“c’hai avuto paura?”
“non proprio paura, non sò come dirti…, inquietato, inadeguato, invaso nell’intimità..
poi, inaspettatamente si alza, e con la stessa tranquillità con cui si era presentata se ne và, sempre senza dire una sola parola”
“e i sordi?”
“niente, neanche quelli, rimango immobile, pietrificato, seduto sulla mia poltrona, anch’io in silenzio”
“…e c’hai paura che non torna più e che non te li dà?”
“ma no figurati, non è questo il punto”
“allora perchè me lo hai raccontato scusa?”
” beh perchè m’ha colpito, non mi era mai capitato…è stato difficile”
“è stata na giornata demmerda?”
“si”
“dimmelo a me, non sai quanto te capisco…… io sò annato a lavorà”

IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE INTERNAZIONALISMO EMANCIPAZIONE