uno strano amico

Posted by opinionista on Maggio 24, 2013

Viveva a scatti. La ghiera che girava dentro girava a scatti. Ed era pericoloso.
Pericoloso perché l’attimo prima del click non dava segnali.
Pericoloso perché l’attimo dopo, se t’eri salvato, tutto tornava come se non fosse mai stato.
Beveva come un addannato, sempre attaccato, tracannava a grossi sorsi avido di umidità.
Mangiava come uno sprocedato, ma restava smirzo e allampanato, manco fosse stato a digiuno dal giorno in cui era nato.
Fumava, se fumava tutto, pareva un caminetto.
Rideva isterico, ipnotizzato da quei momenti in apnea, sospeso come un acrobata sulla fune di uno scherzo, sopra l’abisso. Piangeva a dirotto, non sapeva per cosa, bastava il soffio di un ricordo lontano e vago.
La prima volta che lo vidi rimasi affascinato.
Mi guardava fisso e stralunato. Come se temesse che il mio corpo, con la mia sola presenza, potesse invaderlo, annichilirlo.
Mi temeva e desiderava al tempo stesso, forse curioso, forse bramoso, forse quella stessa invasione in realtà era una sofferenza divenuta nel tempo bislacco desiderio.
Diventammo amici trascorrendo la maggior parte del tempo dei nostri appuntamenti in silenzio.
Seduti l’uno vicino all’altro se ne stavamo immobili a guardare il mio cane gironzolare sul prato di turno. Sembrava che i movimenti armoniosi dell’animale lo rapissero, oppure, a rapirlo era chissà quale pensiero, e che il cane era solo una scusa, una distrazione, per paradosso.
La nostra amicizia non aveva nessun futuro. Non aveva un fatto futuro, un posto futuro, parole future, non si immaginava in nessun modo, soltanto era, era quell’appuntamento fuso nella similitudine con tutti gli altri.
Stavamo su quella panchina sul ciglio del niente, ascoltando il silenzio.
Dondolando dondolando, tiro dopo tiro, sorso dopo sorso, minuto dopo minuto.
Fu così che imparai ad ascoltare il silenzio. Ascoltare quanti silenzi esistono. Se impari ad ascoltare il silenzio impari ad ascoltare quanti ce ne sono e quanto le parole siano sopravvalutate.
Ce sono tanti quante le emozioni, e sono riconoscibili tutti, ad uno ad uno.
Passano veloci, si fermano, ma li puoi carpire solo se impari quale è il trucco.
Ci perdemmo di vista, come si perde tutto, in un momento ogni volta lo stesso, con quel groppo in gola che si prova quando si perde, con quella nostalgia che si prova per qualcuno che si è perso, e la panchina rimase avvolta in un silenzio diverso, mai sentito prima. Un silenzio solo, come solo ero rimasto.
Ma tornerà, ci scommetto, tornerà a sedersi di nuovo al mio fianco.

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