Carica a salve

Posted by opinionista on Aprile 10, 2013

Non aveva mai pianto. Odiava farlo. Diceva sempre che era inutile e che non avrebbe risolto niente. E non era atteggiamento da macho, pensava semplicemente che piangere era come sanguinare.
Ma quella volta pianse, non perché semplicemente soffriva, ma perché si sentiva disorientato. Avete presente come fanno i bambini quando si perdono? Stessa identica cosa.
Pianse e si nascose, perché non voleva essere visto. Odiava la propria debolezza. Avrebbe voluto e dovuto raccontarlo a qualcuno ma non si fidava di nessuno. Riuscì di casa dopo 9 giorni e ritrovò tutto immutato: gli amici, il bar, le solite chiacchiere. D’altronde perché avrebbe dovuto cambiare qualcosa? Ma poi cosa?
Aveva raccontato a tutti che aveva avuto un febbrone, di quelli virali, per questo non aveva chiesto aiuto o che qualche amico lo passasse a trovare. Si sentiva stanco, come se davvero avesse avuto una febbre alta per giorni, ma non era stanchezza: si era svuotato. Non solo le lacrime scese copiose per ore e ore, ma quel lento abbandonarsi, quello scaricare tutte le energie, comprese quelle residue, per poi arrivare a un punto in cui più giù non poteva più andare.
Non c’era stata caduta ma solo l’atterraggio. Improvviso e devastante. Dentro si ruppe qualcosa, lo sentiva, ma sentiva altettanto bene di non avere gli strumenti adatti per potersi riparare.

“Aò chi nun more se rivede” disse Gianni.
“Bella regà, so vivo. Almeno così pare” rispose ridendo o quantomeno sforzandosi di farlo.
“Ammazza che faccia che ciao aò. Ma hai magnato? Solo minestrine? Taccitua fatte vede da un dottore e fatte da quarcosa che ciao na cera così bianca che riflette” fece eco Claudio.
“Aò ma voi dopo na settimana de febbre a magnatte minestrine ma come cazzo state? Eppoi a Clà co quella panza che te ritrovi te farebbe bene pure a te na settimanella senza magnà, magari ricominci a mettete le mani in tasca che me sa che manco ciarivi più”  rispose automaticamente. D’altronde lo sfotto era l’unico modo condiviso per i maschi del quartiere dove viveva. Periferia cittadina, palazzoni, parchetti spogli e t-max a spezzare il silenzio. Era casa sua, ci stava bene.
L’alienazione di cui soffriva mista a un sentimento di insofferenza e compressione lo aveva portato verso il baratro. Alternative non ne aveva se non affidarsi alla sua solita comunità, quella che ti accoglie sempre e non ti giudica. D’altronde abbiamo tutti paura dei giudizi degli altri, soprattutto delle persone che amiamo o a cui siamo legati. E temeva i giudizi dei suoi amici.
L’altra alternativa era scappare da tutti. Reinventarsi da capo. Ma per fare quello servono energie, serve una solidità che non aveva, quindi ogni ipotesi di vedersi lontano da lì naufragava. Del resto era abituato ai naufragi. Aveva provato qualche volta ad allontanarsi ma senza crederci fino in fondo e in breve era ritornato al capolinea.
“Aò sabato vieni? Noi avemmo rimediato i bijetti, stamo a fa un po’ de maghinate de gente seria che provamo a fa na cosa” gli disse sottovoce Gianni.
“Boh mò vedo che mica lo so se dopodomani ciò la forza pè femme mille chilometri, però mica me dispiacerebbe”.
“Daje va fa er serio che magara un po’ de sport te fa pure bene!” e sbottò a ridere Claudio e col suo sguardo paraculo rispose al telefono “Aò daje se vedemmo al pub stasera così na parlamo a quattrocchi”. Si stavano preparando.

Pensò e ripensò fino al sabato se andare o no con i suoi amici. Stava ancora male. La testa girava. Aveva ancora crisi di panico e voglia di piangere. Si sentiva fermo, immobile, in attesa che gli eventi lo sovradeterminassero. Del resto se non sei capace tu di farlo, ci sta che qualcun altro lo faccia al posto tuo.
Andare con “i ragazzi a fare sport” era un modo come un altro per sfogarsi. Non aveva bisogno di quello sfogo ma aveva bisogno di non rimanere solo. Se non sei capace a staccarti allora unisciti nella maniera più salda possibile. Difenditi e arroccati, mai da solo. Questo pensò nelle 48h successive fino a quando non si ritrovò su quel viale, lui e altri 40, foulard sul volto, cinte e qualche bastone. Non si aspettavano un “comitato d’accoglienza” così numeroso. La paura lo morse ma ormai era lì e non si sentiva più debole di qualche giorno fa.
“Se cado qualcuno mi rialza di sicuro. Nessuno mi lascerà solo, non oggi” si ripeteva. Ma in cuor suo sapeva che, ancora una volta, avrebbe fatto decidere alla corrente a cui si era affidato. Senza rimpianti, senza rimorsi. Basta lacrime pensò mentre le urla del suo gruppo rompevano il silenzio.

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