Leggende

Posted by opinionista on Luglio 28, 2010

Tutto comincio così.

Era un dannatissimo giorno di Luglio del 2010, quando ebbe inizio la storia che poi divenne leggenda.

Roma, Fiumicino, Aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci.

Marco e Alfio erano due operai della manutenzione Impianti. Quel giorno come tutte le mattine erano lì alle sette a bere un caffè delle macchinette e fumare la loro merdosa marlboro rossa.Il resto della squadra era già partita per un intervento al Terminal 1, voli nazionali. Loro due erano rimasti lì, a godersi quella pausa caffè in quelli che sarebbero stati gli unici attimi freschi di quella merdosa giornata.Come ogni giorno oramai da qualche tempo avevano da svolgere la solita pantomima.Avevano accumulato almeno cinquanta richieste dello stesso tipo. L’aria condizionata dell’aerostazione era  troppo forte. Finita la sigaretta si avviarono coindolanti e scazzati verso il blocco impianti. Non era una questione che potevano risolvere loro, quella.. L’aveva spiegato l’azienda con tanto di comunicato ufficiale. L’aria Condizionata veniva generata da un impianto vecchio, ed era centralizzata,  non era quindi possibile separare quella che condizionava gli uffici da quella che condizionava le aree che ad uso passeggeri. Con il risultato che negli uffici e nei locali chiusi, in maglietta si gelava, mentre tra porte che si aprivano per il passaggio continuo dei passegeri, i luoghi ampi, e i movimenti concitati ed il peso dei bagagli, i passeggeri la trovavano refrigerante e piacevole. Ma tantovaleva far vedere che qualcosa si stava tentando di fare. La stanza del blocco impianti era rumorosa e bollente. Alfio entrò solo, mentre Marco rimase fuori ad apettare. Tutti i livelli erano regolari, il termometro stabile, e le ventole attive. Il cervellone che comandava tutti i motori era funzionante secondo norma. Alfio, di testa sua, decise che per far smettere le chiamate di intervento fosse il caso di alzare un po’ l’aria di modo che a cominciare a lamentarsi fossero non più impiegati ed operai dell’aeroporto, bansì i passeggeri. A quel punto magari averbbero principiato loro con le lamentele, può darsi, ma almeno erano lamentele che non sarebbero arrivate al servizio Impianti. Mise mano, apri lo sportellone della centralina, cercò e quindi spinse il bottone “UP”. Ma il cursore digitale della temperatura digitale rimase inchiodato. Riprovò per la seconda volta e nulla si mosse. Scocciato tentò di pigiare più forte, affondando con l’unghia del pollice nel tasto molle e spungnoso. Nisba. Poi, dopo aver spinto e rispinto più volte, demorse, voltando lo sguardo affranto in direzione dell’uscita, sentiva un caldo bestia dentro quella stanza angusta immersa nel fracasso delle ventole. Quando tornò a fissare il quadrante per chiudere lo sportellone, vide che il segnale dell temperatura era cambiato, ma nella direzione opposta, si era abbassato. Aveva tentato invano di alzare la temperatura e quella stronza invece si stava abbassando. Sudava come un maiale, grondava. Non ne poteva più, ed erano solo le sette e trentacinque del mattino.. Uscì, Marco lo guardo e lo derise perché quell’intervento inutile era costato al povero Alfio litri di sudore e qull’espressione basita che adesso portava il suo viso. I due fecero finta di niente e cosi come erano venuti se ne tornarono indietro, ciondolanti. Alle undici i più cominciarono ad accorgersi di quanto stava avvenendo. Gli impiagati cominciarono a recuperare negli armadi  le stufette che usavano d’inverno per scaldare quelle stanze buie, alle prime ore del mattino. I passeggeri cominciarono a cercare le felpe ben piegate sul fondo dei loro pachidermici bagagli estivi. I baristi ed i negozianti tutti cominciarono a tempestare il numero interno per lamentarsi con il Srvizio Impianti per quell’aria troppo fredda che usciva da ogni bocchettone sulla loro cazzo di testa. Il Capo chiamò Alfio e Marco intimandoli di porre rimedio alla situazione in un nano secondo previo calcio inculo potente e immediato. I nostri si fiondarono, ma la situazione che si presentò loro fu la medesima. Poi in seguenza; Li raggiunse il Capo. Poi il Capo del apo. Quindi il Capo del Capo del Capo.

Niente.

L’orologio segnava le tredici e venticinque quando sui banchi ceck-in era possibile registrare una temperatura dell’aria pari a 13 gradi centigradi. Alle tre erano diventati 11. Alle sei 9. Alle 23, nell’aeroporto semideserto, la temperatura interna era pari a 7 gradi e quando il mattino seguente schiere di lavoratori e passegeri raggiunsero l’aeroporto Internazionale di Roma, la temperatura era di 5 gradi. A quel punto si indì una riunione generale. Riuniti in una sala operativa, tutti i capoccioni dell’aeroporto cercavano soluzioni. Non trovandone. I tentaivi possibili erano stati tutti esplorati. E non ve ne erano più. L’ultima possibiltà sembrava essere quella di staccare l’elettricità di tutto l’aeroporto e sperare, cosi, in un ripristino automatico dell’impianto di raffreddamento. La situazione diventava sempre più ingestibile e scomoda.. I giornalisti con i loro furgoncini bianchi con antenna sul tetto affollavano le entrate dell’aeroporto in cerca di notizie. In cerca di malesseri eventuali sui quali sciacallare e buttare in faccia ai telespattatori italiani. Loro, gli aeroportuali, sapevano che staccare l’elettricità sarebbe stata una, l’ennesima, figura di merda da dover giustificare all’ente Controllo. Alla fine della riunione si decise che questa figura di merda fosse necessaria, inevitabile. Marco e Alfio ed il resto della squadra raggiunsero i cinque punti dislocati in varie parti del sedime aeroportuale dai quali contestualmente delettrificare  quell’immensa struttura da cui partivano ogni giornmo 115mila individui. Staccarono il primo, poi il secondo, poi il terzo ed il quarto secondo una sequenza stabilta da tempi e modi , quindi,  Il Capo diede l’ok ad abbassare il quinto e procedere all’off generale della corrente elettrica. 3,2,1…spaff! La pallida luce dell nove del mattino che fuiltrava dai finestroni in alto era l’unica a illuminare ora quello squallido aeroporto. Spento dell sue lucette interne, delle lucette segnaletiche, delle lucette dei negozi, delle lucette dei banconi del bar, delle lucette degli uffici, delle lucette dell compagnie aeree, faceva un impressione simile ad un lunapark dismesso, abbandonato. Per un attimo comunque, sembrò che questo rimedio estremo fosse servito almeno a raggiungere lo scopo prefissato, seppur in maniera tutt’altro che ortodossa. Le ventole si fermarono, ogni rumore si attutì pian piano fino a sopirsi definitivamente. Il tutto durò forse un minuto soltanto. Poi fra l’incredulità di tutti, ancor prima di partire con il processo inverso ed riattivare tutto, le ventole, da sole , cominciarono muovere le loro pale. Prima inpercettibilmente poi sempre più veloci, fino a raggingere le loro rotazioni standard. L’aria ricomciò a soffiare gelida e forte dai bocchettoni, e senza che in tutto l’aeroporto vi fosse corrente elettrica disponibile. La cosa cominciava a diventare inverosimile. L’aeroporto era costretto in una situazione di pura emergenza. Erano state disposte le procedure da seguire sencondo protocolli locali, nazionali e della comunità Europeea. Il traffico di aeromobili fermato per dieci minuti con non poche ripercussioni negative da ogni punto dii vista, operativo e commerciale. Tar gli aerei in sosta non ce n’era uno che si sarebbe potuto muovere, nessuno nelle vie di rullaggio ne tantomeno sulle piste di decollo e atterraggio. Nessun veicolo a motore che avesse l’autorizzazione durante quei dieci minuti a poter muovere le gomme di un centimetro. Tutti dovevano rimanere tassativamente con il motore spento, immobili, causa sicurezza. I Vigili del fuoco avevano preso posizione sul lato pista secondo le procedure di emergenza per black-out generale. Polizia e carabinieri avevano chiuso l’autostrada e tutte le altre strade di accesso all’Aeroporto. I passeggeri erano stati avvisati con una serie interminabile di annunci nel quali si avvisavano a più riprese dell’operazione alla quale loro malgrado avrebbero assistito e partecipato. La situazione era la seguente quando nell’assenza titale di luce e certezze, le ventole ricominciarono a girare come mosse da uno spirito Proprio. Fuori l’aria di quella giornata di pura estate cominciava a divenatre bollente, l’asfalto a sciogliersi e tremare. Dentro la temperatura era di 5 gradi. Le persone cominciarono ad affollare il piazzale e la strada antistante le entrate. Occuparono pian piano per intero quello spazio che non era stato pensato per accogliere un intero deflusso aeroportuale in piena ora di punta. Persino la fontana piena di cacate di piccioni fu invasa dalla folla infreddolita. I passeggeri erano increduli e lamentosi, il personale Aeroportuale invece elttrizzato da quella novità che spezzava la monotonia delle loro giornate lavorative, lasciandoli piacevolmente sopsesi. La corrente elettrica al quel punto fù ripristinata riportando una parevnza di normalità su quelle lande ghiacciate. Nel giro di un’ora la temperatura scese ancora, finchè, ad un certo punto, toccati i 0 gradi, il Capo dei Capi, insieme al Capo della polizia si vidro costretti a dichiarare “chiuso” lo scalo Internazionale di Fiumicino. L’aria che usciva da ogni bocchettone era glaciale. Qualsiasi tubatura alle 14 si era congelata rendendo inservibili qualsiasi servizio comprsi quelli igienici. La gente rimasta a terra,  che aveva visti annullati uno dopo l’altro i propri voli e le proprie vacanze, cominciarono a protestare alacremente con chiunque indossasse una dfivisa, fosse stata anche quella da bagnino. Senza contare che tutti cominciarono a sparpagliarsi alla disperata ricerca di un metro d’ombra in quella giornata tropicale. Chiunque pisciò ovunque. Qualcuno chinato nelle aiuole defecò in preda ad una classica colica da colpo d’aria fredda. Presto, l’atmosfera tipica del’aeroporto, pervasa da quella placida altezzosità mista tra privilegio e ansia  si tramutò in una tipica scena da concerto-evento. Persone appollaiate sui guardrail come sugli spalti dello stadio, uomini senza maglietta, donne con la crema abbronzante, bambini che frignavano, dalla stazione treni divenuti carichi bestiame cercavano di lasciare faticosamente le proprie piattaforme. Le strade continuavano ad essere interdette, e quando l’ultimo treno abbandonò la stazione fornace l’aeroporto rimase completamente isolato dall’esterno. Un isola, il cui centro era una banchina artica e le cui estremità, tropico del cancro. L’inefficenza italiana ebbe il sopravvento. Informazioni confuse e contradditorie costrinsero le persone a spostamenti inutili, facendo perdere anche quelle piccole posizioni di favore che faticosamente si erano guadagnati per sottrrsi ad una inevitabile insolazione. Gli animi già fiaccati si esacerbarono esasperandiosi, furono sedate sul nasere un paio di risse fra vigili urbani e comuni cittadini inviperiti. Operai aeroportuali, sottratti alla loro manzione di caricatori di merce nelle stive, vennero mandati a distribuire bottiglie d’acqua da mezzo litro per rendere quell’attesa meno insopportabile. Erano le 17 quando la temperatura esterna era 37 volte superiore a quella dell’interno dell’aerostazione. I giornalisti riuscirono a filmare qualcosa, scorci degli interni congelati sotto la furia di un vento polare che aveva abbassato la temperatura a -6 gradi centigradi. Da fuori era diventato tutto bianco. Infatti la condemsa che si era andata a formare per la disparità di temperatura fra l’interno e lesterno sui vetri immensi della struttura architettonica cominciò a ghiacciarsi, regalando uno scenario surreale agli sfortunati spettatori. Una squadra dei vigili del fuoco arrivò infagottata in enormi giacchetti rossi di goretex le Ispezioni di rito. Nelle successive ore del pomeriggio per fortuna le solerti forze dell’Ordine riuscirono a far evacuare ogni persona dall’aerea aeroportuale, lasciando visibile per intero il degrado al quale era stato ridotto. Un enorme ex-bivacco con tutte le puzze annesse e connesse. Rimasero in loco così soltanto le squadre d’Emergenza. Con i favori della notte la temperatura interna si abbassò ulteriormente fino a raggiungere i -12. Alfio e Marco ed il resto della squadra inviati a svolgere per la seconda volta la procedura di interruzuione corrente elettrica, ma per la seconda volta il tentaivo fallì. L’aria continuava ad andare a tutto spiano e le ventole a girare a tutta callara. Ad un giornalista raccomandato fu concesso di seguire telecamera in spalla un giro d’ipsezione interno comandato dalla Polizia. Le immagini che quella stessa notte invasero i giornali di tutta italia e non solo raccontavano di sedie, biglietterie, banchi ceck-in, loading bridge, gate, negozi, farmacie, bar, mcdonald, tavole calde, librerie, completamente congelate. Ogni cosa avvolta in una sottile patina di ghiaccio conferiva a quelle immagini un non sò che di grottesco a quel racconto di resa dell’uomo sulla macchina.

Fu cosi che cominciò la stagione di ammunitamento delle arie condizionate di tutto il mondo.

All’aeroporto di fiumicino seguirono di lì a breve altri casi analoghi sparsi nel globo. Agli aeroporti poi seguirono le stazioni ferroviarie, i centri commerciali, i cinema multisala, i ministeri, gli uffici e i palasport di tutto il mondo, infine l’epidemia ribelle assaltò ogni cosa dotata di un impianto di condizionamento, automobili, case, ogni cosa fin quando non fu completata l’opera. Nel giro di un anno circa ogni luogo venne sottomesso al completo dominio dell’aria Condizionata. Sottratto ad ogni possibile uso e/o riuso abituale, sottratto all’essere umano. Ogni tentativo fallì, riscaldamenti termonucleri, termodinamici, black-out protatti all’infinito, nulla di tutto questo funzionò. Nulla valse ad allentare la morsa gelata ed irriducibile di quel nuovo Dominio. Il resto lo conoscete, è storia dei giorni nostri. E’ la storia dell Terra Oggi. E’ una storia diventata visibile. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei mari, la desertificazione delle aree temperate, gli sconvolgimenti climatici, eppoi, queste zone AC (cosi furono chiamate), strutture dismesse di ciò che fù dell’essere umano, ridotte a megafreezer, con temperature costanti di -15 gradi centigradi. Oggi è possibile visitarle come fossero specie di Musei, visite guidate con apposite tute antifrost, occhiali, guanti e cappelli. Sono oggi meta ambita da molti bambini e famiglie attratti dall’idea di poter vedere al loro interno, sopravvissute, alcune specie che abitavano in passato i poli. Specie animali sottratte alla loro altrimenti inevitabile estinsione. Elefanti marini, orsi bianchi, gatti delle nevi, lupi della steppa,  e c’è chi giura di aver visto financo  un pinguino sguazzare nella fontana dell’Aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci. Nessuno Esperto fù mai capace di sciogliere il mistero dell’AC. Non vi sono ancora oggi spiegazioni scientifiche che possano giustificare come tutto ciò sia diventato possibile, reale.

E’ quando gli esseri umani non sono in grado di rintracciare spiegazioni empiriche a ciò a cui assistono e vivono che un evento diventa mito, leggenda.

La leggenda dell’aria condizionata.

 

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