Ero, Saro e Sono.
Posted by opinionista on Settembre 5, 2011
Questa è la storia di tre fratelli, tre gemelli.
Nati dall’amore giovanile di due tizi. Lui si chiamava Se, lei Io.
I giovani, nati dall’unione di questi due fricchettoni, si chimavano Ero, Saro e Sono.
Gemelli omozigoti nati dopo un lungo e faticoso parto. In Quel giorno travagliato Il primo ad uscire dalla pancia e piangere era stato Saro, poi Sono, infine Ero.
Dopo pochi mesi dalla nascita dei tre pargoli la coppia era scoppiata, come spesso capita alle coppie giovani incapaci di essere contenuti in qualsivoglia regola o costrizione e ancora troppo vivi per ridimensioarsi, entrambi.
Se una volta spezzato il legame con Io era partito, allontanandosi tanto da lei e dai bambini che i gemellini crebbero soli con la madre, o meglio, con la madre e con il nuovo compagno della madre, Falso Se, che entrò nelle loro vite poco dopo la separazione.
Le cose filarono lisce tra loro, almeno all’apparenza, per tutta l’infanzia e l’adolscenza dei gemelli e oltre. Cosi che I Tre ragazzini erano venuti su belli e intelligenti e sembravano felici.
Essere gemelli presenta qualche diversità dalla crescita dei bambini unici, ma tutto sommato, Io e Falso Se avevano fatto un buon lavoro, garantendo quella costanza in cui crescono i bambini educati.
Ero dei tre fratelli era il più cicciottello. Dei tre era quello più introverso, il più mammone, ma anche il più mansueto, quello più responsabile, insomma quello che si suole dire “maggiore”. Ero tradiva una certa indolenza e pigrizia nel fare le cose, gli piaceva starsene seduto pacioso a mangucchiare davanti alla televisione e benchè facesse in tutto e per tutto il ruolo del fratello maggiore, aveva imparato ad affacciarsi alla vita con uno strano vittimismo.
Saro invece mostrava tutti i tipici attegiamenti del fratello minore, era il più magro, l’unico biondo dei tre, il più bello, si percepiva indifeso, e spesso correva a cercare rifugio dai suoi fratelli, che da bravi fratelli non mancavano mai di rassicurarlo e coccolarlo. Nonstante questa fragiltà, aveva sviluppato paradossalmente un carattere caparbio e risoluto che spesso lo vedeva primeggiare nei loro giochi e nel rendimento scolastico.
Sono era il fratello più indisciplinato, decisamente. Quello che faceva preoccupare di più Io, quello che da piccolo si perdeva fra le corsie del supermercato, il primo ad esser ripreso dai genitori, il primo ad esser stato sculacciato, quello che per primo, arrivata l’adolescenza aveva osato sfidare l’autorità paterna rappresentata da Falso Se. Si erano accese delle liti durante le quali Falso Se aveva dovuto far leva su tutta la sua calma e forza per contenere gli agiti sfidanti di Sono.
Sono era l’unico dei tre fratelli ad essere stato bocciato a scuola. Costretto per questo a separararsi dagli amati fratelli e che per questo aveva accumulato ancor più rabbia e frustrazione. Ma Sono dei tre era anche il fratello, diciamo così, più sensibile e arguto, nonché il più simpatico.
I fanciulli erano cresciuti in fretta, fra le peripezie che accompagnano la vita dei ragazzi, ma ora cominciava per loro l’avvicinarsi all’aetà adulta.
Ero dopo il liceo aveva preso a lavorare, indolente e lamentoso some suo solito, come archivista nella facoltà di Storia. Un posto che aveva occupato grazie all’ingerenza del professore che ne era rimasto colpito dalla sua proverbiale calma durante il difficilissimo esame di diritto romano.
Era fidanzato dall’età di quindicianni con la stessa fanciulla, si può dire che fossero cresciuti insieme, con la costanza e l’affidabiltà che appartiene soltanto ai vecchi, ma erano felici, lui tondo e pigro, lei ordinata e seria.
Saro si vedeva con una tipa da poco, ma non era lui il tipo che cercasse moglie, abbastanza distratto da tuttociò che riguradva i suoi progetti futuri non si curava del femminile più di tanto, solo così, ogni tanto, per non sembrare uno sfigato. Bello com’era poi non faceva nessuna fatica a trovare compagnia all’occorrenza.
Sono invece, stereotipo di se stesso, nell’amore dimostrava tutta il suo tormento.
Sembrava una montagana russa, salite faticose, discese vertigionose, amori impossibili, vorticosi, tradimenti, ritorni, innamoramenti inaspettati. Insomma, fuoco e ghiaccio, come era lui, ma soprattutto, sembrava un recipiente vuoto che cercasse disperatamente qualcosa o qualcuno che potesse riempirlo. Incostante e indisciplinato era la disperazione per chi se ne innamorasse, ma anche tanto altro.
Poi.
Un giorno.
Inaspettatamente.
Tornò Se.
E questo scosse l’equilibrio della sin qui placida famigliola.
Falso Se, mostrò come sempre la sua comsueta Calma irreale, strategia consueta per difendersi da qualcosa che percepiva come minaccioso per il suo equilibrio e per quello della sua amata famiglia.
Fu Così che senza agitazione alcuna acconsentì a che Se potesse incontrare i suoi figli. Gli accordi erano però che Se non avrebbe dovuto rivelare loro la verità, alias la sua paternità naturale.
Io piombò in un agitazione infinita, non solo perché preoccupata che questo potesse destabilizzare i suoi figli e il suo compagno, ma soprattutto perché si sentiva destabilizzata dal ritorno di quell’uomo. Stava perdendo il controllo su una parte di se.
La parte che non aveva mai smesso di amare Se.
Se era tornato da uno dei suoi tanti viaggi in compagnia di Ego, suo amico, un tipo brillante, simpatico, un tipo sempre all’altezza, in qualsiasi situazione, ma logorroico al limite della pesantezza.
Se durante tutti quegli anni di assenza non aveva perso il suo fascino di uomo eternamente libero ed indomabile, al tempo stesso inaffidabile. Somigliava la vento, attraversava il tempo e lo spazio fedele solo a se stesso, senza pretendere nulla in cambio.
Aveva lo sguardo profondo e limpido come i laghi di montagna, ci si poteva specchiare per quanto fosse limpido.
Io si era sentita da sempre vulnerbile accanto a quell’uomo, scoperta, ma non poteva far a meno di amarlo, quell’uomo così autentico da sembrarle straordinario.
Se fu presentato ai ragazzi come uno zio, uno zio venuto da lontano, parente vicino, ma al tempo stesso lontano, il famoso zio d’america, ed i ragazzi, almeno in principio ci credettero (o fecero finta o più plausibilmente non gli interessò più di tanto)
Con il passare del tempo le visite si intensificarono. Se voleva conoscere i suoi figli, e questo desiderio egoistico lo muovoveva al di là di ogni considerazione su ciò che fosse giusto o meno fare, al di là del bene e del male.
I sospetti crebbero velocemente e complice l’incapacità di Se di dire bugie, in breve tempo le cose precipitarono ed avvene la rivelazione. Se era il padre biologico dei gemelli.
Falso Se cadde in crisi, il castello delle sue certezze si crepò proprio nelle fondamenta sull quali l’aveva costruito, e si ritirò in un silenzio cupo, fatto di attesa e spasmi silenti. Io, passata la collera iniziale, si arrese a quello che in qualche modo era un avvenimento che aveva sempre temuto ma al tempo stesso saputo che sarebbe capitato.
Anzi, con il passare dei giorni sentì un inaspettato sollievo montargli dentro, non dover custodire più quell’equivoco come fosse un segreto inconffesabile, la fece sentire in qualche modo liberata.
I ragazzi rimasero molto perturbati.
Ero, si tuffo sul cibo, aumentando così il suo peso nel mondo.
Saro si getto a capofitto sui suoi progetti da realizzare e se ne andò a studiare in un’altra città, traslocando però anche i suoi dolori.
Sono che invece non aveva altro da se stesso, si innamorò del nuovo padre.
La notizia liberò di colpo anche i suoi rapporti conflittuali con Io e Falso Se, come se potesse finalmente vederli senza più proiettare su di loro le sue insoddisfazioni, inadeguatezze.
Decisero in breve che Se e Sono sarebbero ripartiti insieme. Sono era grande abbastanza per partire per un lungo viaggio, e la madre non potè opporre resistenza.
Così, dopo solo due masi dal suo arrivo, Se si era trasformato da zio d’america a padre, da stronzo in fuga, a padre amorevole in fuga con uno dei suoi tre figli.
Le cose si sa, non sono mai come sembrano, si muovono sotto.
Il viaggio durò a lungo e Sono investì i 4 continenti con la rabbia e la curiosità di un ragazzo di 25 anni.
Quella rabbia e curiositrà che Se aveva oramai perso nel tempo e che adesso Sono gli restituiva intatta, riportandolo indietro nel tempo.
Sono era come fosse rapito da una furia irrefrenabile di conoscenza, di esperienze, un furia inquieta e romantica, a volte fine a se stessa, altre dispettosa. Una furia che poteva somigliare ad una fuga, altrimenti ad un inseguimento.
Suo padre, Se, lo lasciava fare, sempre, mai si sognò di intromettersi nelle sue scelte, agì da quello che era sempre stato, un padre irresponsabile, un amico.
Sono non poteva chiedere di meglio.
Un amico munito di un esperienza ed una calma che lui non avrebbe mai potuto possedere.
Un amico che lo lasciava fare, che non voleva e non sapeva insegnarli nulla oltre quello che da solo avesse capito, carpito, dall’esperienze che viveva.
Sono, radioso, cannabalizzò ogni cosa che incontrò.
Se era così fiero di quel figlio che presto sentì crescergli dentro la voglia di non abbandonarlo mai più.
Ma al loro ritorno, questa aspettativa taciuta, crollò miseramente, era troppo tardi.
Sono aveva un sogno, ripartire, ripartire solo con i suoi fratelli.
Così, in men che non si dica, con una scusa qualsiasi, li riunì e gli presentò la proposta. Partire. Insieme.
Saro si mostrò entusiasta della proposta, risolse i problemi pratici della sua brillante carriera e si presentò il giorno stabilito con il suo bel sorriso, la zazzera bionda, e lo zaino in spalla.
Ero, manco a dirlo, fece resistenza. Riluttante ad ogni partenza, allontanamento, dalla sua città, dai suoi itinerari soliti, dalla routine, e dalla sua ragazza postdarkettona, disse subito No.
Non se ne parlava nemmeno, a lui, di partire, non fregava un cazzo.
Sono impiegò tre giorni e tutte le sue argomentazioni per vincerlo. Per avere la meglio su quell’orso pigro e testardo.
Disse che sarebbe stato il loro saluto, e che poi, si sarebbero separati per sempre, ognuno definitivamente solo nella propria vita.
Ero rimase colpito dal tono epico del fratello, che recitò benissimo la parte del fratello adorante, cosa in parte anche vera.
Fu così che il bello Saro, la montagna Ero e lo scapigliato Sono partirono lasciandosi dietro le lacrime commosse della loro romantica madre.
Sono aveva imparato durante il precedente viaggio che il segreto era finire sempre ciò che si era principiato, cosa che prima non aveva mai fatto, decretando i suoi infiniti insuccessi.
La prima sorpresa fu scoprire che quel segreto i suoi fratelli lo cutodivano già, di per loro.
La seconda fu che quello che imparò Saro, lasciarsi andare, perdersi senza punti di riferimento alcuno, affidarsi all’incedere di uno dei suoi fratelli, alle loro scelte.
Rimase un frignone cionostante. E spesso si andava a nascondere dietro la mole di Ero, o la sfacciataggine di Sono.
La terza fu vedere distesa la ruga che solcava la fronte fra le sopracciaglia di Ero.
Come un montagna forte e solida che fosse perennemente circondata dalle nuvole.
Ora quelle nuvole non c’erano più, diradate nel giorno in cui alla fine di una lite con Sono, cedette alle lacrime, per la prima volta. Rimaneva un testone però, e se si fissava erano guai, perché per spostarlo ci si impiegava tempo ed energie.
Insomma i tre pargoli, dopo una vita insieme, adesso cominciavano a conoscersi davvero e conpenetrarsi con gioia e crescente consapevolezza.
Era come se l’azione di ognuno smussasse gli angoli vivi degli altri.
Ero addirittura si concesse ad un avventura con la figlia del padrone di un falegnameria che offri loro lavoro per qualche tempo, per la prima volta fece sesso soltanto per farlo, per la prima volta scopò con una ragazza che non fosse la sua, la prima e non più ultima.
Saro andò in fissa a fumare, cosa che aveva sempre schifato, fumare l’erba, e nel suo incedere, come sempre si lasciò dietro uno stuolo di ragazze in lacrime.
I capelli oramai lunghi e biondi gli conferivano quell’aria selvaggia che gli era sempre mancata, completandolo.
Ero, dimagrito inevitabilmente durante il viaggio, senza più i kili di troppo che lo appesantivano, lasciò svelata la sua forza, liberata dal suo fardello, appariva maestosa e bella.
Sono era entusiasta dei suoi due fratelli. Passava il suo tempo a guardarli, nella speranza che tanta grazia, quella che vedeva in loro potesse appartenere anche a se stesso, speranza inquieta, che piano piano però avanzava a piccoli passi.
Era fiero di se per l’idea che aveva avuto di fare quel viaggio, fiero perché era riuscito nell’impresa di convincere Ero, fiero di vedere Saro liberato dall’ansia di fare, arrivare, raggiungere, fiero di vederli ridere felici.
Una sera però successe una cosa che cambiò per sempre il loro viaggio e le loro vite.
Erano partiti da più di 3 mesi oramai quando ricevettero una telefonata.
Io era morta in un incidente. La loro mamma se ne era andata senza dirgli nulla, nessuna ultima parola, nessun saluto, niente.
La ruga tornò a solcare la fronte di Ero. Saro rimase i silenzio per 2 giorni interi, e Sono, se ne andò, partì di nascosto, di nuovo solo.
Così Ero e Saro tornarono a casa, una casa che oramai non c’era più, un guscio vuoto.
Sono non tornò mai più.
Neanche Se, messosi sulle sue tracce, riuscì mai a trovarlo.
Giunsero sue notizie quando fu arrestato negli states, per vagabondaggio con il permesso di soggiorno scaduto, perché la notifica raggiunse il domicilio dove abitavano prima tutti insieme, e che ora abitava solo Ero con la postdarkettona.
Saro partì l’america con un gruzzolo di soldi per pagare la cauzione e liberare il fratello che poi, complici le sue amicizie in “alto” avrebbe tentato di riportare a casa. Ma quando arrivò potè solo constatare che Sono non sarebbe mai tornato, ne con lui, ne con nessun altro.
Sono si era perso, perso dentro se stesso, perso fuori se stesso, e nessuno l’avrebbe mai riportato indietro.
Ero non sarebbe mai più andato avanti e Saro, una volta tornato, proseguì la sua vita, la sua vita di successo, che sapeva, senza più l’amore dei fratelli, non sarebbe stata mai abbastanza.
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